Al centro della performance di Angela Barretta c’è il corpo, "materia modificabile, dominatrice, santificata nel suo essere irriducibilmente viva e pulsante", stoffa preziosa da tagliare o cucire, da modellare perché possa contenere l’anima. Certo, raccontare ciò che abbiamo visto al Museo Madre per Pharmakon è complesso, non una trama da seguire ma un fluire di sens/azioni, a volte crude e crudeli, che lasciano aperte all’interpretazione del pubblico tutte le porte del possibile, e che reinterpretano temi e forme legate alla religiosità popolare.
Una donna, che si cuce o si scuce (nel senso più stretto e materico del termine) delle protesi sul corpo, come volesse o dovesse annullarsi o omologarsi per essere. In scena anche una figura maschile che, come lei, è insieme carnefice e vittima. I due sono in un rapporto di continua tensione nel tentativo di contatto simboleggiato dall’offerta di una mela che, negata o bramata, mai soddisfa. e capace di farsi anche strumento d’offesa.
E proprio la mela potrebbe rappresentare il pharmakon cui fa riferimento il titolo della performance. Per i greci il pharmakon per antonomasia è la cicuta, ma Socrate ne beve con avidità, perché quando entra in azione diviene vera medicina per l’anima, che si libera della sua tomba, non è quindi né rimedio né veleno, perché in realtà è entrambi. La domanda che ci si pone è se questa performance possa entrare di diritto in un programma dedicato al teatro, o sia più a suo agio in un contesto che punti i riflettori su installazioni di arte contemporanea.
Museo Madre – Napoli, 18 giugno 2009
Teatro